Racconto fotografico

Era uscita presto quella mattina. Aveva lasciato la sua camera d’albergo dove la luce rosa dell’alba entrava con riservatezza e pudore.
Aveva chiesto alla reception una bici per poter andare incontro a quella luce. Nonostante tutto era un giorno speciale: il pensiero fisso andava a suo figlio e a quella giornata che era importante anche per lui. 
Un giorno di quelli che hanno la caratteristica o il piacere di chiudere una porta o di aprire alla vita, anche se il cammino sembra essere un abisso.
Portava con se’ la sua macchina fotografica, le immagini che sognava forse la stavano aspettando o forse no, aveva smesso di chiederselo in nome di quella leggerezza che cercava di cucirsi addosso.
Il viale al mare era disegnato da tinte pastello e anche le ombre assumevano una certa trasparenza, il loro grigio non era invadente e non aveva contrasti eccessivi. Intorno la vita si muoveva lentamente e solo poche unita’ di persone seguivano questo ritmo cauto e rallentato. Ogni tanto incontrava qualche giovane che, isolato nelle proprie cuffie, faceva jogging.
L’aria era fresca e lei la respirava profondamente, e forse quella leggera camicia bianca, che frettolosamente avava indossato con noncuranza, lasciava che la pelle del suo corpo non opponesse resistenza ne’ al vento, ne’ al ricordo delle mani che lo avevano accarezzato: come soffi di diverso profumo gli uomini della sua vita sembravano incrociare le sue pedalate uno dopo l’altro. Arrivavano, la incontravano, entravano nei suoi polmoni, se ne andavano. E lei continuava la sua corsa. Non le pesava, in quel momento, portarsi addosso il carico dei sentimenti ne’ l’affanno delle emozioni. Pedalava.
Pensava.
La vita era stata generosa con lei.
Improvvisamente si apri’ davanti al suo sguardo la visione attesa: il mare non accennava alcun movimento, il sole all’orizzonte si rifletteva in un cono di luce, una linea di sabbia, e davanti ancora acqua quale specchio per il cielo, sulla linea di sabbia la sagoma di un cercatore di conchiglie o di un’anima persa, come lei, nell’ovattato richiamo del mattino.
Cerco’ la giusta esposizione, il gioco personale tra diaframmi e tempi e una profondita’ di campo che era soprattutto profondita’ di percezioni. Quanto era necessaria per lei? Aveva sempre avuto difficolta’ con le immagini troppo nitide in lontananza, e in genere la rassicuravano di piu’ immagini la cui nitidezza si fermava piu’ vicino a lei. Guardare lontano la impressionava, forse non voleva. Troppo per lei, il chiarore del pensiero nella distanza. Una prudenza o una difesa da cui non si era mai liberata, ma con la quale aveva fatto pace. Ma tutto era diverso quella mattina, cio’ che era lontano non poteva essere abisso. Chiuse il diaframma, regolo’ i tempi, l’inquadratura era gia’ davanti ai suoi occhi. Scatto’. Clic. Clic. Ancora clic. Ripete’ ancora, la pellicola scorreva, un modo come un altro per dilatare i pori degli attimi alla vita.
Si fermo’.
Guardo’ ancora.
Ripose tutto. Sali’ di nuovo sulla bici. Rientro’ nella sua camera d’albergo. Non c’era piu’ la luce che aveva lasciato. Un letto disfatto e le sue cose nell’ordine casuale in cui le aveva abbandonate. Accese una sigaretta, lentamente fumo’ il sapore dolce e aspro di ogni tiro, lascio’ la bianca camicia leggera sulla sedia e rimase, pacatamente stordita, in attesa. Suo figlio non aveva ancora chiamato. Lo fara’ piu’ tardi. Apri’ la doccia e lascio’ lungamente che l’acqua scorresse su di lei: fu il suo battesimo per quel nuovo giorno.

Paola Camiciottoli

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