40 giorni

Considera l’universo come il tuo sé e potrai vivere bene dappertutto.

Ama il mondo come il tuo sé e saprai come prendertene cura”.

LAO TZU

Abbiamo ormai superato i 40 giorni che definiscono il termine “quarantena” di biblica memoria e, con le sue differenze, comune in altre pratiche religiose.

L’I Ching, il libro dei mutamenti, così amato da Jung che ne ha curato la prefazione e le cui origini risalgono ai miti più antichi della Cina nell’ideogramma 40 “Liberazione” (non a caso!!) afferma: “L’impedimento è eliminato e le difficoltà stanno risolvendosi. La liberazione non è ancora avvenuta ma comincia proprio adesso e i suoi diversi stadi vengono raffigurati dal segno”.

Quindi le tensioni possono iniziare a sciogliersi con estrema prudenza poiché “ Se vi è ancora un luogo ove si debba andare, allora è salutare la rapidità”.

Opportuno avanzare solo fin dove è necessario, la liberazione è ritornare alle comuni regole della vita. Afferma ancora la sentenza: Se rimane ancora del lavoro arretrato è opportuno farlo il più presto possibile, per spazzare via tutto senza che subentrino ritardi”.

La liberazione!

La Cina ritorna così grazie all’elaborazione del suo sapere antico ma, paradossalmente, anche per essere stata focolaio e bacino di partenza di un virus che fa piegare su se stessi ormai più di 190 Paesi al mondo.

I politici e gli scienziati hanno definito questo periodo distanziamento sociale, altri isolamento, i più integralisti riportano questa situazione alla condizione degli arresti domiciliari. Una freccia ferma che non annulla il tempo, ma lo dilata.

Fatto sta che il Coronavirus-Covid 19 ci ha stretto e co-stretto a fermarci nelle nostre case per evitare così il propagarsi di un contagio virale che potrebbe, o già ha potuto, mettere a rischio il nostro sistema sanitario nazionale.

Diventa, a mio avviso, importante soffermarci su ciò che è trascorso in questi 40 giorni vissuti all’interno di un caos emozionale che ha fatto del lockdown la nostra zona giornaliera e il nostro spazio vitale. Ritengo che questa sosta di riflessione debba manifestarsi come bisogno di nutrimento poiché, non essendo stato un cambiamento scelto ma imposto da cause di forza maggiore, possa avere la possibilità di trasformarsi in energia in maniera tale gestire e non subire il cambiamento stesso rendendolo funzionale alla nostra salute e al nostro benessere.

Che cosa ha significato la richiesta di non uscire, di non incontrare familiari e parenti, di non abbracciare gli amici, di non stringere la mano ad alcuno, di rimanere a distanza dall’altro per un metro e mezzo (considerata misura di sicurezza), di uscire soltanto per i bisogni essenziali muniti di un’autocertificazione/passaporto/giustificazione? Come continuare a costruire la nostra vita nei limiti dello spazio dei 200 m vicino a casa, con la possibilità di essere fermati dai controlli sul territorio che ci chiedono dove stiamo andando, con la paura di ciò che da fuori possiamo portare nelle nostre case e quindi con la conseguente spasmodica azione alla disinfezione di pavimenti e superfici?

Non, non, non, una negazione incessante, costante e continua che ha gli effetti di un boomerang nella vita di ciascuno di noi perché se, come nel presente è causa necessaria per la protezione di ciascuno, nel futuro potrebbe avere l’effetto di una devastazione emozionale per i bisogni umani così improvvisamente repressi.

In questi 40 giorni passati siamo stati testimoni di flash mob incitanti il legame con il nostro Paese, abbiamo suonato e intonato l’inno nazionale alle finestre, abbiamo cantato Azzurro di Celentano come metafora di uno spiraglio di luce che apre all’oscurità del momento, abbiamo appeso alle nostre terrazze lenzuola con su scritto Tutto Andrà Bene, abbiamo continuato a dirci sempre più faticosamente “ce la faremo”, abbiamo svuotato gli scaffali del supermercato di farina e lievito di birra con l’onore di poter richiamare la nostra capacità e autosufficienza nell’elaborare il pane, la pasta, i dolci della tradizione,

la pizza e le focacce di ogni tipo, abbiamo accompagnato per mano i nostri figli nello spazio virtuale delle varie modalità della didattica a distanza, abbiamo intasato software di videochiamate singolarmente o in gruppo, abbiamo rovistato, mettendoli sottosopra, armadi e cassetti con l’intenzione di fare quelle pulizie di Pasqua che sono state vissute come rinascita personale più che religiosa. Abbiamo continuato ad ascoltare i “restate a casa” provenienti da ogni programma televisivo e radiofonico, veicolati da spazi pubblicitari, di politici, di operatori sanitari e di artisti e di quanti altri ancora. E tutto, dopo i 40 giorni, è ancora sospeso e viaggia al ritmo scandito delle ore 18 dai bollettini di contagi e di decessi propagati dalla Protezione Civile.

E mentre abbiamo cercato di imbastire con i fili della consapevolezza e dell’accettazione un abito da indossare durante il nostro essere monadi involontari, allo steso tempo abbiamo fatto di tutto per non perdere ciò che ci rende e ci ha sempre reso vivi: la relazione con l’Altro.

Poiché se improvvisamente il tempo è scomparso in una quarantena che ha più il sapore di un brutto sogno e l’Altro si è dissolto diventando una intangibile forma virtuale a noi è rimasta la possibilità di reinventarci un luogo e uno spazio di ritrovata comunione.

Nonostante però questi nostri sforzi di indiscussa necessità umana, il ritornare alle comuni regole di vita, come afferma L’I Ching, sembra essere ancora un miraggio. Nel deserto relazionale in cui siamo immersi, ci manca il corpo e le sensazioni che solo esso ci regala.

Ci mancano la carezza, il calore, la preziosità della pelle, lo sguardo, la profondità degli occhi, ci mancano il sorriso e il riso, la danza morbida, l’intreccio amoroso, la voce accogliente, il gioco dei sensi chiave di felicità e di amore.

Ai tempi del Coronavirus-Covid19 ci manca l’Amore e il suo bacio.

Avevamo l’illusione, prima che questa epidemia creasse la sua storia, di aver trovato nella globalizzazione e nell’invasione di ogni angolo di questo pianeta Terra, nuove mappe e territori personali di conquista.

Di tutto ciò invece siamo diventati virus noi stessi, comportandoci come la malattia che adesso uccide e impressiona e fa paura e costringe tanti al dolore e al pianto.

La riflessione che sono riuscita ad elaborare in questi 40 giorni è che oggi stiamo vivendo il paradosso di una vita globale e di una interconnessione che ci vede prigionieri inermi di una illusoria e sospirata dimensione di libertà.

Firenze, 15 aprile 2020 Paola Camiciottoli

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