“Se cerchi di conquistare il mondo
e farne quel che vuoi,
non avrai successo.
Il mondo è un contenitore dello spirito
e non è fatto per essere manipolato.
Dominalo, e lo rovinerai.
Afferralo, e lo perderai.”
LAO TZU
Breve sosta davanti alla tv. Telegiornale. L’epidemia da Coronavirus-Covid19 costringe l’attenzione a soffermarmi sulle notizie intorno alle quali mi sento impotente nel cercare di coglierne il drammatico disegno. Incomprensibile a livello razionale. Inutile cercare di spiegare una causa che va oltre gli orizzonti di un pensiero logico. La dimensione emotiva ed emozionale che mi coglie nell’udire il numero delle persone decedute riporta all’atavica, umana? paura, angoscia? della malattia e della conseguente morte.
10 aprile 2020, TG Regione Toscana, due giovani, fratello e sorella, comunicano la perdita della propria madre venti giorni fa e del padre, solo ieri.
Stesso virus. Stessa sorte. Due letti in terapia intensiva, l’uno di fronte all’altra. Il loro ultimo incontro. Vedere i loro volti racchiusi in una smorfia di dolore, soffermarmi sulle loro mani raccolte le une dentro le altre, udire la sorella incoraggiare il fratello con un semplice “ce la faremo”, mi ha spinto a scrivere queste parole. Ho avvertito con forza il ritorno dimenticato, alla vulnerabile, impermanente ed esposta al limite, essenza dell’esistenza. E loro sono solo una delle tante realtà di sofferenza che in questi giorni entrano in maniera tangibile, toccante e struggente nel quotidiano di tutti.
Questo mi ha fatto pensare alla possibilità di andarcene senza un saluto, senza un funerale, senza l’abbraccio e la carezza dei cari.
In questa visione drammatica si aggiunge un altro dramma: quello dei familiari, lasciati nel buio dell’elaborazione di un lutto, dal quale difficilmente potranno risorgere risanando una ferita così profonda.
E, se la verità è che ognuno di noi, nonostante abbia sperimentato nel corso della vita la perdita di una persona cara, superandone il dolore, è pure vero che le esperienze di morte vissute in questo oggi di epidemico conflitto, riportano ad un qualcosa di sconosciuto poiché non sperimentato a livello emozionale nella sua carica affettiva: un grumo fatto di buio, dolore, abbandono, assenza di dignità e solitudine.
In questo XXI secolo, considerato il secolo della vita, dedicato all’attenzione verso l’essere umano, alla sua felicità e alla sua salute, un virus sconosciuto miete vittime fra le persone comuni, fra gli anziani fragili, fra gli operatori sanitari, fra i giovani pieni di speranza.
Un virus sconosciuto. Da questo punto di vista Nichiren Daishonin, maestro Buddista scrive “Se si cerca di curare la malattia di qualcuno senza conoscerne l’origine, quella persona si aggraverà ancora di più”.
E questa pandemia che ha colto inaspettatamente tutto il mondo ci ha guidato a
riconsiderare la visione di noi stessi nell’universo e nella sua natura, non padroni ma devoti coabitanti, non creatori ma utenti, non superiori né pari né inferiori, semplicemente e solamente interconnessi.
Intercomunicanti.
Interdipendenti.
Rivedere questo nostro rapporto con l’universo con il quale conviviamo, universo che abita dentro di noi dall’infinito passato, così come ci conduce oggi, con imprevista e improvvisa brutalità, di fronte alla nostra precarietà e provvisorietà, dall’altra ci comunica una inconsapevole eternità.
Richiama la nostra responsabilità nel non dare per ovvio e scontato la visione superficiale della nostra esistenza.
Se consideriamo infatti, come gli insegnamenti di Budda ci indicano, che l’universo è un’ entità vivente infinita all’interno della quale vita e morte sono un ciclo costante e incessante di andata e ritorno, allora considerare la morte quale aspetto fondamentale del processo della vita ci aiuta nel pensare quanto questa possa rendere possibile un continuo stato di rinnovamento e di crescita.
La vita vista quindi come un vasto oceano all’interno del quale la morte si inabissa come fosse un’onda che si alza e si abbassa nella sua immensità ci aiuta a sentire quanto attraverso la morte stessa l’esistenza di ciascuno di noi si rigeneri nell’universo. Ed ecco che lo sforzo richiesto diventa quello di considerare un non inizio e una non fine, una continuità dell’esistenza attraverso i cicli incessanti di vita e morte.
Questi nuovi orizzonti possono permetterci di comprendere quanto siamo un’unica entità con l’universo stesso rendendoci più empatici, più capaci, più consapevoli, nell’ascoltare i “venti patogeni” della malattia che con probabilità ha solo il fine di mostrare a noi stessi cosa siamo.
Firenze, 11 aprile 2020 Paola Camiciottoli
Ciao Paola, buona Pasqua. L’ho sempre saputo che sei un pozzo tutto da scoprire e restare a bocca aperta. Ciao.
Grazie Dario. Un carissimo saluto. A presto