Racconto fotografico (3)

Il marciapiede era più scuro del
solito dopo la leggera pioggia che durante la notte aveva lavato la
nebbia della polvere.
Camminava con passo veloce e intanto
guardava la quantità dei grigi che la città riusciva a regalare
ogni volta. C’erano grigi appena accennati e grigi profondi, cupi e,
in mezzo a questi, una gamma innumerevole di altre tonalità argenteo
opache che riusciva a distinguere, ma non si sforzava di descrivere.
Pensava alle sue foto, ai bianconeri
che riusciva ad ottenere, a quanto in esse si perdeva della scala
perlacea e plumbea che in quel momento incontrava con gli occhi e con
lo sguardo .
Le venivano alla mente i forti
contrasti dove quella varietà cenerina era praticamente azzerata e
al gioco grafico, sempre affascinante, di un rigore rappresentato
senza alcuna tonalità intermedia.
Niente di ciò che in quel momento
viveva poteva farle credere alla realtà della fotografia quale
verità dell’attimo rubato. E questo le piaceva e rafforzava sempre
di più il suo pensiero sulla stessa quale movimento interiore e
spinta interpretativa di una visione oggettiva.
Ed ecco che la fotografia assumeva in
lei la forma di una soggettività che le era cara, così come le era
dolce e gradito concepire la dimensione intima della fotografia
filtrata dalla tela forata da sentimenti e sensibilità.
La foto che anche quella mattina aveva
in borsa aveva neri evidenti, una punta di bianco appena accennata e
sfumature di grigio che si incontravano nello spazio di luce radente
di un paesaggio morbido dove solo tre alberi dalla chioma rotonda, ma
non fitta, si rivelavano parte integrante, pur non essendo
protagonisti dell’immagine.
Come ogni mattina, ormai da mesi, le
sue foto in formato cartolina partivano dalla sua città verso
un’unica, fissa, destinazione.
A riceverle un uomo.
Quando si avvicinava alla cassetta
postale, rossa come i bus londinesi, veniva spinta da una energia
inaspettata, e forse senza significato apparente, che le faceva
rilasciare la sua fotocartolina in quella piccola finestra basculante
in metallo con la scritta “Per tutte le altre destinazioni”.
Ogni mattina.
Era arrivata a duecentoventuno giorni.
Sarebbe dovuta arrivare a
trecentosessantacinque.
Quella mattina non sapeva che quel
gesto sarebbe stato l’ultimo.
Lo aveva conosciuto per breve tempo, si
sentivano spesso, riuscivano ad amarsi con la sorpresa
dell’inevitabile e del fatale insieme. Dopo si salutavano, lei con la
convinzione che quell’uomo fosse in lei ombra fattasi presenza.
Quella spedizione era il tentativo di
costruire un filo di legame annodato ai due capi.
Le piaceva e lo faceva volentieri.
In realtà non immaginava minimamente
che fine avrebbero fatto quelle sue foto una volta arrivate a
destinazione e non se lo chiedeva.
Si faceva forte del pensiero che in lei
fosse la cura della relazione il principio di tensione del movimento
e della spinta della sua scelta e dei suoi gesti.
Per il resto solo vuoto.
Una donna che ogni giorno spedisce una
sua fotocartolina diventa quasi il simbolo patetico di una illusione,
la visione struggente di una immagine che si fa voce, la dimensione
sentimentale di una paura, la ricerca affannosa del dileguarsi di un
dubbio.
Il suo concerto iconografico.
Il fluttuare del tempo.
L’ignoto della non consapevolezza.
Il presente del disincanto.
Il vuoto della realtà.
E, da quel giorno, il niente.
© Paola Camiciottoli

2 pensieri riguardo “Racconto fotografico (3)

  1. … l'incanto e il disincanto di un incontro alimentato da un gesto di una forza inaudita, come solo l'amore di una donna può compiere verso due labbra deserte ed aride incapaci di bere trecentosessantacinque gocce di vita!…
    Bellissimo racconto! un abbraccio anna

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